In sonno e in veglia: l’esperienza della soglia e la scrittura del dormiveglia

2021 ◽  
Vol 41 (2) ◽  
pp. 115-133
Author(s):  
Flavia Caporuscio
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Nel panorama delle rielaborazioni novecentesche dell’immaginario purgatoriale può senz’altro collocarsi In sonno e in veglia (1987) di Anna Maria Ortese, il cui richiamo al luogo intermedio dell’aldilà cattolico è presente tanto nell’oggetto della narrazione quanto nella scrittura stessa. La raccolta di racconti è in realtà un libro-manifesto che svela il segreto della scrittura in un titolo programmatico: il binomio ossimorico di sonno e veglia circoscrive infatti sia la tecnica narrativa visionaria, sia la Weltanschauung dell’opera ortesiana che, qui come altrove, accoglie “storie tra mondo e sottomondo, tra giorno e notte.” La scrittura di apparizioni e visioni, tipica della narrativa ortesiana, abitando la soglia tra sogno e realtà, che è poi lo spazio liminale tra visibile e invisibile, autorizza all’uso della definizione di scrittura del dormiveglia.

2018 ◽  
pp. 283-300
Author(s):  
Andrea Baldi
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2018 ◽  
Vol 52 (2) ◽  
pp. 367-376
Author(s):  
Daniela Bernard
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Attraverso Il Mare non bagna Napoli di Anna Maria Ortese e Speranzella di Carlo Bernari si vuole analizzare e mettere a confronto la lettura, che mescola il documento con il romanzesco, di una Napoli che esce dalla guerra. Una Napoli in cui la miseria si erge come forza autonoma e distruttiva che rende inerti i suoi cittadini, annullandone o gettandone nel silenzio le coscienze e le volontà. Nell’isolamento bestiale dell’uomo che smarrisce il senso della comunità e della convivenza civile, la miseria diventa abiezione e priva l’uomo della sua umanità, riducendolo a mero oggetto. Salvo trovare nei momenti di maggiore disperazione, le risorse per sopravvivere e dare una possibilità ad una speranza sempre più fioca.


Italica ◽  
1999 ◽  
Vol 76 (3) ◽  
pp. 371
Author(s):  
Cristina Della Coletta
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2018 ◽  
pp. 83-98
Author(s):  
Angela Bubba
Keyword(s):  

Una delle più grandi scrittrici del Novecento, Anna Maria Ortese, visse la tua intera esistenza all’insegna  di una voluta distanza dal mondo, una lontananza che tuttavia non era una semplice estraneità da ciò che più la turbava, ma al contrario un punto di osservazione privilegiato da cui indagare e comprendere i nostri tempi. Non un nascondiglio ma un riparo attivo, un rifugio lucido e penetrante dove studiare il dolore della realtà. Seguendo le sue pubblicazioni, e privilegiando l’immagine del nativo americano, della natura e degli animali, emblemi massimi della sensibilità ortesiana, l’articolo esporrà i punti salienti della poetica dell’autrice, sempre tendente a recuperare i misteri del mondo, a scegliere un rifugio e all’interno di questo combattere, per la salvezza propria e altrui.


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