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Published By Altrelettere

1664-6908

altrelettere ◽  
2022 ◽  
Author(s):  
Mariaelena Floriani
Keyword(s):  

Quest’articolo si propone di illustrare il legame tra corpo e scrittura che caratterizza la parabola creativa di Natalia Ginzburg (1916-1991) attraverso alcuni strumenti ermeneutici della psicanalisi lacaniana. Nella prima parte dell’articolo - Linguaggio e Inconscio - si definisce la natura del soggetto lacaniano, scisso tra parola soggettiva e struttura linguistica, tra il sé e l’illusione del sé: due poli divisi da un’opacità connaturata all’esistenza, che il linguaggio e la scrittura non possono risolvere. La seconda parte - La frammentazione come strumento narrativo e psicanalitico – indaga i modi in cui Natalia Ginzburg ha assunto su di sé la responsabilità di questa scissione trasformandola in contenente e contenuto di tutta la sua narrativa: da un lato, la frattura si manifesta tramite lo strumento della frammentazione, nelle diverse voci sperimentate dalla Ginzburg fra il 1942 e il 1984; dall’altro, la crepa diventa strumento psicanalitico-esistenziale per l’indagine del rapporto problematico tra soggetto e mondo. Ogni (non) presa di parola da parte dell’autrice o dei suoi personaggi è sintomo di un vuoto personalissimo e sempre diverso a seconda delle storie raccontate. Tenteremo di ricondurre la molteplicità di questi soggetti scissi all’unità tramite alcune delle pathosformeln descritte da Lacan, investendole di nuova luce. Nella terza parte - Scrivere con il corpo - si riassumono le strategie elaborate dalla scrittrice per rispondere al suo enjeux biografico, ovvero riuscire a scrivere malgrado l’infelicità causata dal rapporto con il «buco del Reale». Ogni parola vergata dalla penna di Natalia Ginzburg è una presa d’atto dell’intangibilità della vita e un atto di amore verso «l’opacità dell’enunciazione che soggiace agli enunciati che ne derivano».


altrelettere ◽  
2021 ◽  
Author(s):  
Valeria Merola ◽  
Daniela De Liso ◽  
Maria Di Maro
Keyword(s):  

Tra le scrittrici “dimenticate” del secolo XVII, Margherita Costa (1600 ca.-1657) si distingue per la sua copiosissima e articolata produzione e per i toni, scanzonati e lucidi, con cui rivendica l’indipendenza femminile.La professione di cantante e virtuosa le consente di ottenere una certa autonomia e libertà nel contesto misogino seicentesco; la sua produzione risulta anomala a livello quantitativo e tematico sia se confrontata con quella delle contemporanee sia in quanto esempio di partecipazione attiva al consesso letterario in un contesto socio-politico in cui la scrittura femminile era in declino. Infatti, nel suo vastissimo corpus si possono riconoscere diversi generi: lirico, prosaico, storico, religioso, epistolare, drammatico (comico, mitologico, pastorale), attraverso i quali la poetessa non solo dimostra la sua versatilità, ma anche la capacità di usare registri diversi che oscillano tra il comico e il tragico, la satira e l’encomio, l’aulico e l’erotico.Eppure, l’intera produzione della Costa, nonostante gli elementi di novità e i messaggi moderni proposti, non ha goduto di fortuna critica. Anzi, «dal silenzio ha tutto da guadagnare» scriveva Dante Bianchi (1925: 211), condannando di fatto alla polvere degli scaffali dimenticati una delle più prolifiche e vivaci scrittrici del XVII secolo. Né meno impietosi sono stati i successivi lettori della virtuosa romana, come Martino Capucci che riconosceva alla sua copiosa produzione un interesse esclusivamente sociologico, perché «i soli tratti di qualche efficacia [sono] quelli dove erompe una aperta lubricità che si direbbe professionale» (Capucci 1984, 233). Gli ultimi decenni, tuttavia, nell’ambito di una rinnovata attenzione critica alla scrittura femminile del XVII secolo, hanno segnato finalmente un’inversione di tendenza e i primi lavori monografici e le prime edizioni critiche hanno evidenziato la necessità di una riscoperta della poliedrica produzione della poetessa romana.


altrelettere ◽  
2021 ◽  
Author(s):  
Daniela De Liso ◽  
Maria Di Maro ◽  
Valeria Merola
Keyword(s):  

Tra le scrittrici “dimenticate” del secolo XVII, Margherita Costa (1600 ca.-1657) si distingue per la sua copiosissima e articolata produzione e per i toni, scanzonati e lucidi, con cui rivendica l’indipendenza femminile. La professione di cantante e virtuosa le consente di ottenere una certa autonomia e libertà nel contesto misogino seicentesco; la sua produzione risulta anomala a livello quantitativo e tematico sia se confrontata con quella delle contemporanee sia in quanto esempio di partecipazione attiva al consesso letterario in un contesto socio-politico in cui la scrittura femminile era in declino. Infatti, nel suo vastissimo corpus si possono riconoscere diversi generi: lirico, prosaico, storico, religioso, epistolare, drammatico (comico, mitologico, pastorale), attraverso i quali la poetessa non solo dimostra la sua versatilità, ma anche la capacità di usare registri diversi che oscillano tra il comico e il tragico, la satira e l’encomio, l’aulico e l’erotico. Eppure, l’intera produzione della Costa, nonostante gli elementi di novità e i messaggi moderni proposti, non ha goduto di fortuna critica. Anzi, «dal silenzio ha tutto da guadagnare» scriveva Dante Bianchi (1925: 211), condannando di fatto alla polvere degli scaffali dimenticati una delle più prolifiche e vivaci scrittrici del XVII secolo. Né meno impietosi sono stati i successivi lettori della virtuosa romana, come Martino Capucci che riconosceva alla sua copiosa produzione un interesse esclusivamente sociologico, perché «i soli tratti di qualche efficacia [sono] quelli dove erompe una aperta lubricità che si direbbe professionale» (CAPUCCI 1984, 233). Gliultimi decenni, tuttavia, nell’ambito di una rinnovata attenzione critica alla scrittura femminile del XVII secolo, hanno segnato finalmente un’inversione di tendenza e i primi lavori monografici e le prime edizioni critiche hanno evidenziato la necessità di una riscoperta della poliedrica produzione della poetessa romana.


altrelettere ◽  
2021 ◽  
Author(s):  
Daniela De Liso
Keyword(s):  

Poetessa e virtuosa, Margherita Costa esercitò la sua poligrafia in molti generi letterari e pubblicò un considerevole numero di opere ancora oggi poco note. Il contributo vuole indagare la prima opera parigina della Costa, La Selva di Diana, pubblicata nel 1647, all’arrivo dell’autrice nella capitale francese. La Selva, che contiene testi composti nel periodo romano, dunque precedenti al soggiorno francese, avrebbe dovuto costituire il “lasciapassare” per la corte francese, che rappresentava per la poetessa un nuovo inizio. L’opera, dedicata alla principessa sabauda Cristina, sorella del re di Francia, è interamente “al femminile” e ibrida di continuo l’invenzione poetica con l’autobiografia.


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2021 ◽  
Author(s):  
Maria Di Maro

Il presente contributo propone una lettura macrotestuale delle prime raccolte liriche di Margherita Costa (1600 ca.-1657): La Chitarra e Il Violino (1638). I due canzonieri barocchi presentano similarità strutturali (false indicazioni editoriali, polimetria, elementi paratestuali simmetrici) e tematiche (liriche amorose, encomiastico-celebrative, burlesche) e, in entrambi, è attribuito un ruolo predominante alla materia amorosa. L’io lirico, rappresentato nella quasi totalità da una bella donna, è vittima della potenza distruttiva dell’amore, tormentato da una spropositata passione amorosa che non riesce né ad arginare né a soddisfare. Dal caleidoscopio elegiaco offerto dai due volumi, l’attenzione sarà rivolta verso due tematiche: la malattia d’amore e la gelosia, declinate dalla poetessa emulando la tradizione lirica precedente. In particolare, si riconoscono profondi debiti verso Giovan Battista Marino, di cui vengono riproposte strutture metriche, sintattiche e retoriche e da cui sono tratti spunti tematici. Rispetto ai modelli, tuttavia, la virtuosa scrive versi dal marcato carattere drammatico, debitori della sua carriera di cantante e, giocando con le aspettative gender del lettore, procede in un’inversione dei ruoli del mittente e del destinatario per donare, in un contesto misogino, una voce femminile al genere del lamento amoroso.


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2021 ◽  
Author(s):  
Clara Stella
Keyword(s):  

Il Cecilia Martire è stampato nel 1644 e dedicato al cardinale Francesco Barberini. Costa, in cerca di un nuovo protettore, si cimenta per la prima volta in un poema sacro. Il saggio si sofferma sui momenti più virtuosistici di Costa e sulla linea erotica che caratterizza il percorso, quasi mistico, di Cecilia. Dall’esile passio di Cecilia, Costa crea un poema diviso in quattro canti che segue le fasi del martirio della giovane, selezionando i quadri più drammatici in una grande ecfrasi letteraria che si relaziona anche ai lavori di ristrutturazione della basilica di Santa Cecilia in Trastevere, sorta sulla presunta domus della martire. I quadri vivono del crescere dell’eroicità di Cecilia, intensificata dall’ambiente infernale che si crea intorno alla giovane e che l’autrice modella sapientemente sull’Inferno dantesco, su Tasso e Marino, ma anche su opere coeve di impianto scientifico, come gli scritti sull’eruzione dopo il disastro del Vesuvio nel 1631. Infine, il personaggio della Sofronia tassiana è certamente un punto di riferimento per Costa nella costruzione di Cecilia e del suo rapporto con Valeriano, il cui erotismo sconfina nel profano nelle ottave espunte dalla stampa ma ancora leggibili nel ms. Vat. Barb. Lat. 4069 e di cui il saggio offre una lettura mirata.


altrelettere ◽  
2021 ◽  
Author(s):  
Valeria Merola

Nell’ultima opera di Margherita Costa, Gli amori della luna, è possibile individuare un’eco significativa della sua scrittura poetica precedente. È soprattutto il personaggio di Diana a ereditare i tratti delle figure femminili che la poetessa studia nei suoi canzonieri amorosi. Come le donne rappresentate nella Chitarra, la dea è un’amante di sdegno che investe l’innamorato della sua rabbia e della sua delusione per essere stata abbandonata. La cornice mitologica racchiude però una rappresentazione della vita di corte che Costa conosce molto bene. L’inserimento di elementi comici e spettacolari contribuisce a definire la teatralità della scrittura di Margherita Costa e collocarla opportunamente nella cultura barocca a cui appartiene.


altrelettere ◽  
2021 ◽  
Author(s):  
Annalisa Andreoni
Keyword(s):  

Annalisa Andreoni, coordinatrice del Gruppo di Studi delle donne nella letteratura italiana dell’Associazione degli Italianisti, apre i lavori del Convegno Margherita Costa, poetessa virtuosa (L’Aquila, 12 aprile 2021).


altrelettere ◽  
2021 ◽  
Author(s):  
Natalia Costa-Zalessow

In questo saggio, letto per l’apertura del Convegno Internazionale di Studi (L’Aquila, 12 aprile 2021), traccio la storia della mia scoperta della poetessa barocca Margherita Costa, che portò alla pubblicazione dell’antologia da me curata, Voice of a Virtuosa and Courtesan, Selected Poems of Margherita Costa, in cui offro una scelta delle sue poesie più notevoli. Margherita rimase dimenticata per molto tempo e non fu capita dai pochi critici che si occuparono di lei, incluso Benedetto Croce. Ma dopo aver letto i suoi quattordici libri, pubblicati fra il 1638 e il 1654, scoprii una scrittrice non solo prolifica ma versatile e originale, che coltivò diversi generi letterari, inclusi l’umorismo, l’ironia e la satira, e che osò gareggiare e polemizzare con i marinisti. Margherita Costa è l’unica poetessa italiana veramente barocca. Per illustrare queste mie conclusioni, do una serie di esempi di temi originali utilizzati da Margherita.


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2020 ◽  
Author(s):  
Simona Casadio

This article analyzes the «lesbian-machines» (Grosz 1995, 184) at work in Dacia Maraini’s novel Lettere a Marina (1981) and collection of poems Mangiami pure (1978). To this purpose, I engage with two conceptions of desire within the western philosophical tradition. Firstly, examining the development of the metaphor of cannibalism or ‘eros fagico’, I argue that Maraini avoids the ontologization of the notion of desire considered as a lack and thus disengages it from its historical association with the denigration of the female other. Secondly, conceiving desire as a force of production, relational and creative, I explore a particular use of metaphors in the novel which leads to bodily transformations or metamorphosis, without, however, reaching the subject’s imperceptibility through progressive identification. The co-presence and re-elaboration of two, apparently incompatible, theories of desire underline female same-sex desire’s potential to be thought and actualized as a lack and a production, its tendency to annihilate and being annihilated as well as its creative impulses. As a result, Dacia Maraini’s Lettere a Marina and Mangiami pure complicate and destabilize the fixity of representational categories, expanding discourses on lesbianism and lesbian desire. Indeed, the convolution of negative and positive dilates the domain of desire and multiplies its possibilities, carving out a «narrative space in which women might desire differently» (Ross 2015, 16), beyond the heterosexual norm and in diverse ways, who and how they please.


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