scholarly journals Cardio-oncologia: dal servizio dedicato intraospedaliero al cardiologo generale

2020 ◽  
pp. 167-169
Author(s):  
Riccardo Asteggiano
Keyword(s):  

Il Cardiologo Generale (CG) è coinvolto nella gestione del paziente oncologico con possibili complicanze cardiovascolari (CV) sia per motivi epidemiologici, che per la correzione dei fattori di rischio comuni alle malattie CV e al cancro, che per l’individuazione e la cura di effetti tossici della terapia oncologica, soprattutto nel Follow-Up (F-U) a lungo termine. Per un’ottimale gestione del paziente Cardio-Oncologico (C-O) è necessaria una profonda azione di insegnamento ed educazione all’argomento ed una pianificazione rigorosa dell’organizzazione dei servizi di C-O che prevedano anche l’inclusione del CG.

Keyword(s):  

Le infezioni del sito chirurgico rappresentano in Italia mediamente il 20% di tutte le infezioni ospedaliere. Dal momento che esse comportano un danno per la salute dei pazienti e rilevanti implicazioni economiche per il sistema sanitario, si impone la necessitŕ di ridurne la frequenza. La sorveglianza in Ospedale si č dimostrata uno strumento efficace nel ridurre la frequenza di infezioni ospedaliere (NNIS, USA, 2000). Per questo motivo numerose sono le raccomandazioni per la loro identificazione, classificazione e prevenzione. Nel Presidio Ospedaliero Centro Fondi-Terracina vengono sottoposti ad intervento chirurgico circa 4.000 pazienti all'anno, e per tale motivo si č reso necessario un sistema di sorveglianza delle infezioni del sito chirurgico, comprendente anche il periodo di follow up, per evitare quanto piů possibile le complicanze ad esse correlate. L'obiettivo generale dello studio č quello di valutare l'incidenza di ISS presso le UUOO chirurgiche, identificando i principali fattori di rischio e implementando misure preventive assistenziali efficaci.


2017 ◽  
Vol 37 (4) ◽  
pp. 303-307
Author(s):  
C. Zhang ◽  
X. Ding ◽  
Y. Lu ◽  
L. Hu ◽  
G. Hu

Lo scopo del presente studio è stato quello di chiarire i fattori di rischio della rinoliquorrea a seguito di un approccio transfenoidale e di discuterne la prevenzione e il trattamento. Abbiamo revisionato retrospettivamente 474 casi consecutivi di adenoma ipofisario trattati con 485 procedure chirurgiche per via transfenoidale da Gennaio 2008 a Dicembre 2011 nel nostro dipartimento. Abbiamo analizzato l’incidenza di fuoriuscita di liquor cefalorachidiano intraoperatoriamente e nel postoperatorio, e la riuscita di varie strategie di riparazione. Abbiamo riscontrato fuoriuscita di liquor intraoperatoriamente in 85 casi (17.9%) e postoperatoriamente in 13 casi (2.7%). Sette dei 13 pazienti con rinoliquorrea postoperatoria non avevano mostrato fuoriuscita di liquor intraoperatoriamente; tre di questi pazienti avevano adenomi secernenti ADH. Dei rimanenti 6 pazienti con fuoriuscita di liquor sia intra che postoperatoria, 2 erano stati trattati per prolattinoma gigante e invasivo e 2 erano già stati sottoposti in passato a chirurgia trasnfenoidale. In 8 pazienti la fuoriuscita è stata risolta mediante puntura lombare, drenaggio lombare, riposo in posizione semi-reclinata o altri trattamenti conservativi. Due casi sono stati trattati mediante schiuma di gelatina e colla di fibrina utilizzando un approccio transfenoidale e due con grasso autologo e ricostruzione del pavimento della sella utilizzando un approccio transnasale endoscopico. Dopo essere stato sottoposto a due tentativi di riparazione per via transasale, un paziente è stato trattato con successo mediante un ulteriore drenaggio subaracnoideo. In conclusone le procedure che fanno uso di schiuma di gelatina, colla di fibrina e impianti di grasso autologo sono efficaci ai fini del trattamento della rinoliquorrea postoperatoria in pazienti sottoposti a chirurgia transfenoidale. Quando viene rilevata una perdita di liquido cefalorachidiano in corso di chirurgia transfenoidale, un’appropriata ricostruzione del pavimento della sella e un follow up a lungo termine sono necessari.


2020 ◽  
pp. 191-194
Author(s):  
Alessandro Inno

La radioterapia toracica può determinare un ampio spettro di complicanze cardiovascolari a lungo termine (versamento pericardico, pericardite costrittiva con compromissione emodinamica, disfunzione diastolica progressiva, cardiomiopatia restrittiva con scompenso cardiaco, valvulopatie, coronaropatia, ipertensione polmonare, anomalie del sistema di conduzione e disfunzione autonomica). Malattie cardiovascolare pre-esistenti e fattori di rischio cardiovascolari possono aumentare il rischio di cardiotossicità da radioterapia. Il cardiologo dovrebbe svolgere un ruolo cruciale nel follow-up a lungo termine allo scopo di correggere i fattori di rischio cardiovascolari, ottimizzare la terapia cardiologica nei pazienti con cardiopatia nota, eseguire indagini di screening nei pazienti asintomatici, avviare l’appropria


2020 ◽  
pp. 179-182
Author(s):  
Iris Parrini

I pazienti guariti dal cancro hanno un rischio maggiore di eventi cardiovascolari tardivi dopo un trattamento con chemioterapia e/o radioterapia. L’attuale terapia oncologica comprende molteplici agenti i cui effetti cardiaci avversi possono essere additivi o sinergici. La disfunzione cardiaca può essere irreversibile e derivare da agenti come le an-tracicline, o da agenti che sembrano influenzare transitoriamente la contrattilità ventricolare sinistra come il trastu-zumab. La cardiotossicità da radioterapia può indurre un danno miocardico, malattia coronarica, valvulopatie e coinvolgi-mento del pericardio con una latenza di 10-20 anni. Inoltre, numerosi farmaci come il cisplatino, gli inibitori dell’aromatasi e la terapia anti-androgenetica aumentano i fattori di rischio coronarico incrementando il rischio di infarto miocardico e stroke. Una attenta modifica dello stile di vita, un trattamento aggressivo dei fattori di rischio coronarico e una adeguata modalità di sorveglianza è determinante nel ridurre le complicanze cardiovascolari e la mortalità.


2013 ◽  
Vol 25 (4_suppl) ◽  
pp. S37-S40
Author(s):  
Maria Grazia Zenti

La vasculopatia periferica (PAD) rappresenta una delle manifestazioni cliniche della malattia arteriosclerotica sistemica. I fattori di rischio per la PAD sono gli stessi della malattia coronarica (CAD): età, sesso maschile, fumo di sigaretta, dislipidemia e ipertensione arteriosa. Le comuni tecniche di rivascolarizzazione risultano inefficaci in una larga porzione di pazienti diabetici e in pazienti in trattamento emodialitico cronico. Inoltre, l'associazione di macro e microangiopatia con la neuropatia del paziente diabetico favorisce lo sviluppo di ulcere (piede diabetico). La LDL-aferesi (LA) oltre alla riduzione del colesterolo determina anche una serie di effetti pleiotropici (riduzione di sostanze protrombotiche e pro-inflammatorie, modificazioni Teologiche, miglioramento della funzione endoteliale), che promuovono la funzione del microcircolo con un aumento della perfusione dei tessuti periferici oltre che del microcircolo coronarico. In alcuni studi osservazionali e case-report la LA è stata utilizzata come opzione terapeutica nei pazienti con PAD. Tuttavia, le attuali evidenze non ci permettono di arrivare a conclusioni definitive sul ruolo della LA nella PAD, essendo necessari studi clinici con una maggiore casistica, con precisi criteri di inclusione e con un adeguato follow -up. Lo Studio Italiano, Randomizzato, Controllato, Multicentrico e Prospettico: “La LDL-aferesi nel trattamento del Piede Diabetico Ischemico Error! Hyperlink reference not valid. Identifier: NCT01518205; HELP-Apheresis in Diabetic Ischemic Foot Treatment, HADIF) si propone di definire se la LA possa essere una valida opzione terapeutica in questi pazienti a elevato rischio di amputazione.


2019 ◽  
Vol 3 (2) ◽  
Author(s):  
Alberto Garavello ◽  
Margherita Lo Ponte ◽  
Stefania Gilardi ◽  
Paola Fiamma ◽  
Massimo Tozzi

Nonostante i recenti progressi in tema di wound care, le ulcere varicose degli arti inferiori restano un problema frequente, con un alto tasso di recidiva. In questo lavoro abbiamo esaminato la storia clinica, la storia chirurgica e le patologie associate di 133 pazienti affetti da ulcera varicosa degli arti inferiori, di cui 56 da ulcera recidiva o plurirecidiva. L’analisi dei fattori di rischio potenziale per recidiva ha evidenziato come la presenza di varici recidive, una pregressa trombosi venosa profonda, problemi ortopedici, interventi ortopedici, l’obesità e un’età inferiore a 60 anni siano fattori di rischio potenziale per una recidiva dell’ulcera. La combinazione di uno più fattori di rischio assume significatività per la possibilità di una recidiva; si passa dal 22,7% in assenza di fattori di rischio al 33% per i pazienti che ne presentano due, fino al 57,5% in presenza di tre fattori di rischio e all’81,3% per quattro o più. L’ulcera varicosa richiede un follow-up stretto del paziente e una terapia elastocompressiva continua, che deve vedere una stretta collaborazione del paziente e un’attenzione specifica ai fattori di rischio. Despite recent advances in wound care, varicose ulcers of lower limbs remain frequent and display a high rate of recurrence. In this paper, we examined the clinical, surgical histories and associated diseases of 133 patients with venous ulcers of the lower limbs, which were recurrent in 56 cases. The analysis of potential risk factors for recurrence showed that the presence of recurrent varicose veins, a previous deep venous thrombosis, orthopedic problems, previous orthopedic procedures, obesity and age lower than 60 are potential risk factors for ulcer recurrence. Furthermore, the association of one or more risk factors increased the likelihood of relapse, from 22.7% with no risk factors to 33% with 2 risk factors, up to 57.5% with 3 risk factors, and up to 81.3% with 4 risk factors or more. Venous ulcers require close follow-up and continuous elastic compression, close collaboration by the patient and specific focus on risk factors.


Dental Cadmos ◽  
2021 ◽  
Vol 89 (04) ◽  
pp. 01
Author(s):  
Niccolò Lombardi ◽  
Giovanni Sacilotto ◽  
Marcello Itri ◽  
Sara Vitalini ◽  
Silvia Cupello ◽  
...  
Keyword(s):  

2019 ◽  
Vol 42 ◽  
Author(s):  
John P. A. Ioannidis

AbstractNeurobiology-based interventions for mental diseases and searches for useful biomarkers of treatment response have largely failed. Clinical trials should assess interventions related to environmental and social stressors, with long-term follow-up; social rather than biological endpoints; personalized outcomes; and suitable cluster, adaptive, and n-of-1 designs. Labor, education, financial, and other social/political decisions should be evaluated for their impacts on mental disease.


1999 ◽  
Vol 173 ◽  
pp. 189-192
Author(s):  
J. Tichá ◽  
M. Tichý ◽  
Z. Moravec

AbstractA long-term photographic search programme for minor planets was begun at the Kleť Observatory at the end of seventies using a 0.63-m Maksutov telescope, but with insufficient respect for long-arc follow-up astrometry. More than two thousand provisional designations were given to new Kleť discoveries. Since 1993 targeted follow-up astrometry of Kleť candidates has been performed with a 0.57-m reflector equipped with a CCD camera, and reliable orbits for many previous Kleť discoveries have been determined. The photographic programme results in more than 350 numbered minor planets credited to Kleť, one of the world's most prolific discovery sites. Nearly 50 per cent of them were numbered as a consequence of CCD follow-up observations since 1994.This brief summary describes the results of this Kleť photographic minor planet survey between 1977 and 1996. The majority of the Kleť photographic discoveries are main belt asteroids, but two Amor type asteroids and one Trojan have been found.


Author(s):  
D.G. Osborne ◽  
L.J. McCormack ◽  
M.O. Magnusson ◽  
W.S. Kiser

During a project in which regenerative changes were studied in autotransplanted canine kidneys, intranuclear crystals were seen in a small number of tubular epithelial cells. These crystalline structures were seen in the control specimens and also in regenerating specimens; the main differences being in size and number of them. The control specimens showed a few tubular epithelial cell nuclei almost completely occupied by large crystals that were not membrane bound. Subsequent follow-up biopsies of the same kidneys contained similar intranuclear crystals but of a much smaller size. Some of these nuclei contained several small crystals. The small crystals occurred at one week following transplantation and were seen even four weeks following transplantation. As time passed, the small crystals appeared to fuse to form larger crystals.


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